mercoledì 9 giugno 2010

Supermarket d'emozione



Adoro andare a fare la spesa.

Sarà  un affiorare timido della casalinga che c'è in me.

Sarà  una latente dipendenza dallo shopping. Sarà...

La prorompente pienezza degli scaffali  scatena  scosse telluriche di piacere.

BO. BOM.

Una scossa di tellurico piacere. 



Al mercato (anche nelle sue accezioni super, iper e mega) la lussuria si sprigiona e l'acquisto diventa godimento assoluto. E' l'implacabile parte di me ad esserne coinvolta: lo stomaco. Imperativo categorico è MAI coniugare fame e shopping culinario. Prima di andare a fare la spesa trovo necessario mettere preventivamente a tacere qualsivoglia languore, pena il riempimento del carrello di ogni cosa.

Dovendo interpretare “ogni” giuridicamente, lo farei per eccesso. A livello visivo lo intenderei maiuscolo: OGNI. E così procedendo per iperbole, per dare l'idea di un riempimento infinito, senza rimorso alcuno. 

Prima di avventurarmi nel paese delle mangiaviglie, devo assicurarmi di avere almeno un segnalatore di orario funzionante,  in linea con il fuso e la legalità.

Appurate queste due condizioni (assenza di fame e dispositivo) posso permettermi di varcare la soglia automatizzata. Le cellule si spargono tra le merci attaccandosi ad esse, impedendo all'io inteso come tutto di regnare tra gli svariati impulsi emanati  dalle confezioni di latte, succhi, vino, pasta, frutta, anacardi, piadine, pollo, riso, succo d'acero, sogliola, crauti, merendine, tram miniaturizzati, cavedani, di yogurt (sessantaquattro varietà diverse), gamberetti al formaggio, penne, pali della luce, prosciutto aromatizzato al melone, coste, crisantemi variegati, insalata, insalatina, insalatona, insalatezza, pane, salsa al mirtillo di garfagnana, olio di prugna, sesamo, croste di polenta, the biologico, crusca, piantine crioconservate, salviette magiche, ciabatte ortopediche, droni di vacca della valtellina a fette, sagiovese, lattine omeopatiche, corsi di meditazione su misura (nel reparto casa), attrezzatura da giardino in blister, ranuncoli, cibo etnico del Piemonte e terracotte varie. Una semplice esplosione di desideri simultanei è attutita  solo dalla fortuna di avere un carrello a ruote divergenti che  impedisce a questo variegato me di lanciarsi urlante in più direzioni. 

Da tempo è  noto quanto conti il tempo. Ad esso associo valori inestimabili, e ho paura di non essere sola in questo mio valutare. Ma. Ci sono minuti e minuti e valori e valori. Quelli concessi alle attività ludiche sono inestimabili e sfuggenti. Quelli concessi all'acquistare vivande sono i più preziosi e dovrebbero essere generosamente distribuiti. La tirannia del gestore delle ore diurne e notturne invece, coglie sempre le migliori occasioni per infliggere mutilazioni. Ed ecco che le mie parche permanenze al supermercato soffocano la fantasia e tradiscono le  necessità.

Il tempo massimo concesso sono venti minuti, in periodi di grassezze bovine anche 30. Cosa possono significare queste manciate temporali per me, impavida dell'acquisto, se non una tremenda ingiustizia?

Sono appena sufficienti per varcare la soglia, lanciare prodotti random nel carrello, cercare  di visualizzare  la lista dimenticata sul tavolo prima di uscire, percorrere corridoi a caso, in preda al panico, raggiungere le casse con un accenno di infiammazione muscolare a causa del carrello, pagare. 

In un'ipotetica realtà perfetta dovrei potermi permettere un intero pomeriggio e dedicarlo sovrano all'attività di approvvigionamento viveri. Tre o quattro ore sono il minimo lasso di tempo per fare la spesa in modo consono e totalmente appagante.

Procedere  con calma, tra i vari settori, permettendo ai cinque sensi la soddisfazione completa.

Ed è  proprio in questo frangente, quando mi viene concessa la meraviglia spazio-temporale destinata all'introspezione merceologica, che mi accorgo delle insidie celate nei  vasetti di yogurt.

Esistono varietà  infinite e non contabili dello stesso articolo.

Cribbio.

Il processo decisionale s'inceppa. La bocca si apre sillabando varie opzioni meccanicamente inebetita.

L'offerta speciale ti distrae. Il minimo contenuto di grassi ti manipola. L'assenza di glutine dà adito a dubbi. Il pesce decongelato crea imbarazzo e per finire il banco affettati ti rende schiavo dell'attesa. 

Continui schiaffi emotivi raggiungono il risultato pianificato: rendere vana qualsiasi resistenza. Ed è esattamente qui che voglio arrivare. All'inconsapevolezza.

Ora posso gioire. 

Trascorro il tempo a leggere etichette valutandone attentamente provenienza, ingredienti, lotto, produzione. Interrogo il mio bagaglio culturale (molto sommario per la verità) cerco soluzioni alternative, immagino ricette.

Indago.

Penso.

Spingo.

Volto.

Rispingo e rivolto. 

Dietro a questo mio incedere sbavante esiste un piano. Recondito. Ricacciato negli inferi diabolici del consumatore attento. In realtà io pianifico. Studio con doverosa perizia ogni particolare. Annoto mentalmente le possibili sofisticazioni. Annuso il raggiro.

Per questa volta ho studiato. So la parte a memoria. Riconosco la pericolosità  degli additivi, ho imparato a leggere fra le righe dell'etichettatura, so dove crescono le galline.

Sono padrona del carrello storto, prevedo il conto finale, ho dimenticato il portafoglio. 

Oh.

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