venerdì 11 giugno 2010

Si comincia davvero, ora: capitolo I, parte 1

L’importante è ridere, menare e ridere, ridere e menare.


Gargantua e Pantagruele, IV.12



Così erano i tempi agri e violenti dell’università; i tempi durissimi, agri del non dormire, del bere troppo – del bere male: del vuotar’ bicchieri mezzi pieni alle feste: bottiglie di birra abbandonate in giro, sole; i tempi del ramingar la notte contro a’ imprese et incertezza e ventura e bizze metereologiche e-; i tempi delle mattine stonfe e insensibili a fissar’amplissime troppo bianche pareti troppo pulite d’aule studio, in preda a postumi prodigiosi giust’appena contenibili, od instabilità del campo visivo; o a seguir le trajettorie di professori baffuti e bassi e un po’ tondeggianti nella penombra globata di verde delle projezioni di diapositive di materie tipo sto.art.med.: e questa guglia è come questa guglia come questa guglia come? Erano i tempi del lunghissimo discorso con la faccia quasi a livello del piano del tavolo di cucina in un qualche slum studentesco poco fuori le mura della città alle quattro di mattina – la voce impastata oltremodo, un bicchiere sempre in mano: bottiglie vuotate di birra, o di vino, su tovaglie più-aloni-circolari-che-tessuto – i tempi della costruzione retorica invincibile: del colpo-di-mano e dell’oratoria di giustificazione; e tutti s’era bastantemente forti in invenzione, ma i più ricercati eccellevano nella disposizione; la memoria spesso fallava: ma c’era Arte Generica a sufficienza per sopperire: e struttura filosofica portante enorme – qualunque essa fosse; e, spesso, non era chiaro nemmeno al portatore stesso.

Erano i tempi ne’ quali la vita s’andava complicando - pur mantenendo una illusoria facie di semplicità: la semplicità ovvia della quieta placida oleosa superficie d’un meandrare lento, ‘traverso piane ghiaiose a bassissima, quasi-nulla pendenza: impercettibile; un meandrare sinuoso – sensuale, forse: e ipnotico, pur nella sua apparente immobilità. Sulla placida oleosa superficie screziata d’alberi – alberi anche alti e maestosi, nell’aspetto: di quelli che in impeti psichedelici ecologici new-age vorresti abbracciare; ma nella sostanza e nella concettualità in realtà svenevoli, flebili come in una illustrazione ukiyo-e del sedicesimo secolo; sulla superficie screziata dei riflessi di pioppi e betulle, dei salgàri e dei salici degli argini, e della riva fervida dell’attività del nordest che, maledetto lui, incessantemente produce – lenti scivolavamo noi studenti d’ogni facoltà: in metaforiche navicelle, adagiati sul fondo d’assi ingombro di lattine vuote e bottiglie vuote e posaceneri a forma di valva d’ostrica e bicchieri rubati per locali, e quindi scompagnati tra loro nelle maniere più incongrue possibili; e dove con “ogni facoltà” s’intende in senso amministrativo barra organizzativo, ma anche, e forse soprattutto, umano.

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