giovedì 22 luglio 2010

Critica Prescrittiva

MAURO CORONA - Opera Omnia

È arrivato il momento delle scuse. Sì, perché non è possibile, per un ruspante critico internettiano come io mi pregio di essere, tenere una qualsivoglia rubrica di recensioni letterarie senza non dico affrontare, ma anche solo citare la mastodontica, e per dimensioni e per qualità inventive, fanta-opera che il Corona è andato costruendo negli ultimi anni. Di questo Philip Dick italiano post litteram si è oramai detto, scritto, visto e ascoltato tutto: cugino illegittimo di terzo grado di Gene Roddenberry, dal quale mutuerà a quanto pare inconsapevolmente l’iconica barba bianca, dopo una felice infanzia come ciottolo di torrente, si laurea a pieni voti in Chimica del Riflusso Gastroesofageo. Inizia quindi a esercitare la professione docente presso l’istituto superiore Xenu Battisti a Pordenone, e inizia a scrivere e pubblicare i primi romanzi. È però solo dopo un fatale quanto famigerato accadimento avvenuto a Erto (durante la Notte della Grande Pigna, come amerà più volte denominarla in seguito) che il Corona decide di abbandonare la civilità come la conosciamo, di ritirarsi presso una spelonca mistica nel Vajont e, da lì, far recapitare presso le più importanti case editrici i frutti della sua ricerca spirituale.


Nelle prime prove, antecedenti la Notte della Grande Pigna, il Corona si rivela autore dallo stile già solido, ma legato a temi (come il rapporto dell'uomo con la natura, con le proprie radici e con l'incombente progresso economico e tecnologico) tutto sommato superati se non risibilmente ammuffiti. È per questa ragione che Il volo della martora (1997), Le voci del bosco (1998) e Finché il cuculo canta (1999) sono unanimente considerate, dagli esegeti così come dai fan del Maestro, una sorta di parentesi iniziale di rodaggio, utile al Corona più che altro per affilare le proprie doti compositive. È invece con Gocce di resina (2001; in questo romanzo, scritto sottoforma di diario di bordo del capitano, una astronave miniaturizzata viene inserita all’interno di un albero millenario senziente, al fine di carpirne i segreti più reconditi) che il Corona dà l’avvio a quella che verrà poi definita, in maniera a dire il vero molto inelegante, “Cronaca del Bruttopaese”, ovvero a una serie di romanzi, ad oggi non ancora terminata, nei quali viene costruita una terrificante Italia alternativa, una grandiosa ucronia criminale nella quale la storia d’Italia, contrariamente alla nostra, è tutto un infinito susseguirsi mozzafiato di crimini, stragi, cospirazioni fallite, disastri più o meno naturali, soprusi del potere, religioni monoteistiche, elezioni truccate e diritti negati.

Se La Montagna (2002; romanzo epistolare nel quale uno scenografo di mezza età descrive al nipote fonico apprendista lo smantellamento dei vari set de La Montagna Sacra di Alejandro Jodorowsky – leggendario film che nel Bruttopaese Corona immagina essere stato realmente prodotto e filmato) e Nel legno e nella pietra (2003; breve manuale di scultura nel quale l’autore finge che questi materiali siano inanimati, riuscendo così a elaborare una raffinata quanto feroce critica alla nostra vita quotidiana) sembrano essere ancora testi slegati tra di loro, è con Aspro e dolce (2004; commedia rosa su di un contrastato amore omosessuale), Storia del Bosco Antico (2005; una corposa tavola sinottica contenente tutti i maggiori eventi storici del Bruttopaese), Vajont: quelli del dopo (2006; una finta raccolta di articoli di giornale nel quale vengono riportate le conseguenze di un disastro non meglio specificato avvenuto appunto nel Vajont) e I fantasmi di pietra (2006; ghost story nella quale il mondo reale e quello immaginario del Corona sembrano sovrapporsi) che il Corona dà corpo e forma definitivi al proprio universo parallelo, poi ulteriormente dettagliato in Storia di Neve (2008; un rapporto geoidrico top secret sulle responsabilità politiche e imprenditoriali nelle siccità croniche che colpiscono il Bruttopaese) e Il canto delle manere (2009; spartito musicale con introduzione teorica di un quartetto di montanari proletari che, per protestare contro la cementificazione di aree protette, suonano delle asce sulle porte delle sedi delle maggiori istituzioni nazionali).
Non mancano, nel mezzo, episodi curiosi, forse da considerare più dei divertissement che altro – come ad esempio il cripto-porno silvestre L’ombra del bastone (2005) e l’altrettanto fantasioso Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007; vista la risonanza dell’opera, anche e soprattutto nelle sedi giudiziare, non mi sembra qui opportuno riportarne i contenuti).
È infine di questi giorni la notizia di un nuovo romanzo, il cui titolo sarà Torneranno le quattro stagioni, nel quale si dice che il Corona intenda illustrare, a mo’ di manuale didattico, gli usi e costumi dei pizzaioli napoletani emigrati dal Bruttopaese nelle varie parti del mondo; si prospetta così l’apertura della narrazione da un piano nazionale a uno mondiale, con scenari futuri tutti da pregustare.

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