mercoledì 28 luglio 2010

Apposta sulle poste - Step 2

Giorno 5

Ritiro raccomandata. Poco male, c’è un ufficio a due passi da casa. Il sabato mattina è sempre vuoto.

“Buongiorno, dovrei ritirare una raccomandata. Mi hanno lasciato nella cassetta questo avviso”.

“Bene, mi dia il cartoncino. Ah, mi scusi signorina, questo non è l’ufficio giusto”.

“Ah no?”

“No. Vede, ogni zona ha un ufficio postale associato. Lei deve andare in Posta Centrale”.

“In Posta Centrale? Mi scusi, ma io abito qua dietro…”

“Vede, signorina, la vicinanza fisica non è l’unico parametro da prendere in considerazione. Ci son ben altre variabili che determinano l’ufficio postale abilitato alla consegna della corrispondenza. Quindi, come si legge bene nel cartoncino che lei mi ha consegnato, l’ufficio postale di competenza per la sua posta è esattamente quello che le ho indicato. Non la posso proprio aiutare”.



La guardo smarrita, e lei mi sorride con velata simpatia. Mi congeda senza ulteriore indugio.

“Il prossimo!”.

Riprendo il mio cartoncino giallo. Leggo attentamente il timbro: “Ritirare. Da domani. Dopo le dieci. Presso: l’Ufficio Centrale”.

Domani, che è oggi. Quindi: giorno giusto, posto sbagliato. Eh sì, mi sono lasciata trasportare da un’approssimata fiducia nella logica, ma ho tralasciato le variabili. Mai tralasciare le variabili. E soprattutto, leggere attentamente le istruzioni.

Ora, l’impresa ritiro si fa impegnativa. L’ufficio preposto dista chilometri da casa ed è situato in luogo inaccessibile ai mezzi privati e lontano dalle possibilità pubbliche che si aggirano dalle mie parti. Insomma propendo per la bicicletta.

La inforco. Porto con me anche alcuni bollettini di utenze scadute, così da giustificare la pedalata

L’Uffico Centrale dispone di due codometri. Il codometro è quella cosa che eroga bigliettini numerici, ed è anche un misuratore di felicità per cani.

Se c’è un nesso non me lo spiego.

Utilizzo il codometro funzionante, dopo aver testato anche quell’altro, che, ora lo so, è vero che non funziona.

Schiaccio U.

235

Ritiro lettere

Poi schiaccio A

121

Versamenti e prelievi.

Non posso ritirare la posta e pagare un bollettino allo stesso sportello. Se invece dovessi spedire e pagare, potrei farlo nello stesso posto. Oggi però non ho niente da spedire e comunque, dovendo ritirare una raccomandata, non potrei in ogni caso farlo in uno sportello diverso da U.

Quindi: posso spedire e pagare in C. Spedire in tutti i casi e pagare solo in abbinamento ad una spedizione. Se non devo far recapitare nulla non posso pagare in C. Versare e prelevare in A o H (ma, in quest’ultimo caso, solo se titolare di banco posta) e ritirare in U. Ovviamente se fossi extracomunitaria dovrei ritirare K per i permessi di soggiorno. J per le operazioni bilaterali e un altro paio di lettere a cui non riesco ad associare funzioni rilevanti. A meno che non faccia parte delle utenze business, che hanno uno sportello dedicato. Senza lettere. I business people fanno la coda in piedi strattonandosi come dieci anni fa.

Nel malaugurato caso in cui qualcuno debba ritirare e pagare, l’unica opzione possibile, in assenza di titolazione Banco Posta, è l’acquisizione combinata di U e A. Incredibile, pare proprio che si tratti della mia condizione attuale.

Ebbene:

U149

A088

Mi posiziono equidistante dagli sportelli dedicati.

 A (091) tutto a sinistra, U (150) tutto a destra

Estraggo dalla borsa il telefonino e mi immergo in una sfida a bubble bubble.

Ad ogni avvisaglia di avanzamento (beeep) mi distraggo e perdo le bolle. Il mio draghetto muore e devo ricominciare daccapo.

U 234

A 120

Tocca a me.

Oddio.

U235

A121

E adesso?

In pochi secondi prendo una decisione epocale. Mi dirigo verso U.

“Salve, devo ritirare una raccomandata. Ecco il cartoncino”.

"Documento prego."

"Ecco, la carta d’identità va bene?

 "Attenda un istante."

Sparisce.

Ritorna a recuperare il cartoncino che aveva dimenticato.

Riscompare lentamente dietro agli scaffali azzurri.

Passano alcuni minuti di ansia mal repressa, la mia. Indago la mia psiche e gli astri all’unisono chiedendo se mai sarà possibile recuperare il turno perso per il pagamento dei bollettini.

L’uomo postale non è ancora tornato. Passano altri minuti. Il mio fegato pulsa.

Eccolo! Ha una busta in mano.

Con pacata destrezza compie azioni di verifica, vidimazione, controllo documento. I minuti interminabili si accavallano l’uno all’altro senza freno al mio odio crescente..

Impassibile, egli cerca una penna. Non la trova. Poi, trovatala, me la porge e nell’atto fluiscono secondi su secondi a formare una quantità di tempo interminabile. L’uomo sembra rallentato da una sorta d’incapacità fisica all’azione.

Posa la penna di fronte a me e rimane assorto con la raccomandata in mano, a mezz’aria. La gira, scrutandola, come a ricercarvi criptici messaggi. La porta vicino al volto. La annusa.

L’attesa si trasforma in delirio. “Ti prego, Uomo delle Poste, dammi quella cosa. Ti supplico, Uomo delle Poste, sii celere e clemente, porgimi la raccomandata”

Continuo a guardarlo intensamente. Lo fisso. Lo imploro in silenzio, cerco di trasmettere la mia impazienza. Le mie smorfie valgono zero.

“Ma cosa fa?” chiedo ad un ipotetico pubblico. “Cosa diavolo fa con quella busta in mano? Cosa cerca?”

Egli è fermo. Ancora.

Sembra fermo. Il suo muoversi stenta a palesarsi, ma …ecco…

Parla!

“Firmi qui, signorina.”

Finalmente respiro. E firmo.

“Mi scusi…” Mi vergogno, quasi balbetto, presa anch’io nella morsa dell’inoperosità “Vede, io dovrei anche pagare una bolletta...”

“Deve prendere A”.

“Sì, infatti, avevo già preso il biglietto. Solo che i numeri sono usciti nello stesso istante…”

Qui si illumina. Perde la sua grigia patina di uomo postale e assume quella giallo fosforescente di uomo saccente generico.

“Vede, signorina, è tutto perfettamente calcolato, il computer centrale (controllato direttamente da un centro di calcolo a Mumbai) fa in modo che il tempo di attesa sia il medesimo per tutti. Quindi se X (utente) prende  A (biglietto) e davanti a lui ci sono solamente altri 2  (utenti), il tempo di attesa sarà pari al tempo di attesa di Y(utente) che ha preso U(biglietto) che ha davanti a lui un numero molto maggiore di (...). Insomma, a prescindere dalla quantità di persone che ha davanti, se prende due biglietti diversi trascorrerà il medesimo lasso di tempo dal momento in cui ritira il biglietto al momento in cui arriva il suo turno.  Ha capito?”

Oh, che truce caso di democrazia applicata.

“Nel mio caso specifico, quindi?”

“Deve prendere nuovamente il biglietto o tentare la sorte e chiedere a qualcuno se la fa passare e in caso positivo verificare se l’impiegato è d’accordo. Insomma provi un po’ a vedere se è fortunata”.

"Ma non posso pagarlo qui da lei?"

"No"

(Apposta sulle poste - 2 - continua)

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