venerdì 7 maggio 2010

Critica prescrittiva

VENERE PRIVATA di Giorgio Scerbanenco

Per uno scrittore è sempre molto pericoloso voler ambientare una propria storia nel mondo dell'arte contemporanea; quello che si rischia di solito è di infilare una serie di scene involontariamente esilaranti, oppure di ammorbare il lettore con pagine e pagine di allegorie suppostamente crossmediali con le quali esprimere il proprio disgusto per la spesonalizzazione della società contemporanea (qualcuno ha detto il DeLillo?). Lo Scerbanenco, qui, prova il doppio carpiato, smaltando assieme arte classica, body art estrema, favola morale e poliziottesco anni 70 (concessione, quest'ultima, a una concezione della letteratura gggiovane e contemporanea molto in voga qualche anno che fu, propugnata dal solito manipolo di debosciati che invece di leggersi, chessò, il Proust, si erano sorbiti sornioni il Machiavelli (Loriano) o gli Fruttero e Lucentini (ricavandone tutto lo sbagliato possibile)). Di carne al fuoco, dicevo, ce n'è davvero molta, e lo Scerbanenco si muove tutto sommato con agilità fra riletture di sculture classiche, denuncia del mercato dell'arte, spettacoli burlesque meneghini e un protagonista, il Duca, che chiaramente si rifà al Bowie prima maniera (gran fantasia, eh), tutto truccone e parruccone e performative art. Peccato solo che la somma di queste parti non vada a costituire alla fine un tutto omogeneo, lasciando il romanzo come monco di qualche parte (da attribuire forse a qualche editor troppo interventista? o semplicemente troppo maldestro).

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