mercoledì 21 aprile 2010

Critica prescrittiva

IL PONTE di Vitaliano Trevisan

I resoconti sulle proprie vacanze, siano esse estive o natalizie, seguono generalmente uno schema tanto semplice quanto efficace: un protagonista maschile di 30-40 anni (possibilmente espresso nella forma di un io narrante in prima persona, o di un tu narrante per conto terzi, o di un narratore onniscente affetto da ipermetropismo) è schiacciato fra un lavoro disumanizzante come messo comunale e una famiglia ostile e "mostruosa" (moglie procace ma minus habens, suocera formato tir che cucina fritto tutto il dì, tre figli piccoli che non riescono a regolare la propria perdita di liquidi); tormentato dalla situazione e da inquietanti visioni oniriche (di volta in volta: lui che ammazza il sindaco e la suocera; lui che ammazza la moglie nel sonno; lui che ammazza i figli nel fritto; lui che scopa per ore con la nuova postina del quartiere), accoglie con sospirata trepidazione l'arrivo delle ferie, quando tutto sicuramente cambierà. Il protagonista, con una scusa qualsiasi, si distacca dalla propria famiglia, parte, si fa un paio di settimane al mare (o in chalet prefabbricati in Val d'Aosta), riscopre la fantastica e sorniona bellezza del creato, si ubriaca, si scopa la postina (ma viene un po' troppo in fretta, e c'è la scena del timido imbarazzo, con la postina che rincuora la virilità del nostro), si riconcilia muto e segreto con la famiglia e scende a patti con la propria posizione di insignificante pseudo-burocrate. La vita va avanti noiosa e vuota come sempre, ma almeno gli aperitivi sono buoni.



Trevisan, invece, che fa? Prepara, quello sì, e bene, la situazione: un ponte di qualche giorno, il villino a schiera anni 70 a Jesolo, la famiglia opprimente e disastrata, il vicino tetesco di Cermania innamorato dell'Italia. Ma poi - poi passa cento pagine a parlare del Giornale di Vicenza e Pasolini (scusa, a questo punto cura una nuova edizione critica degli scritti pasoliniani, invece di fare il cincischione impreciso nascosto dietro il paravento della narrazione-di-cui-non-ci-si-deve-fidare-molto, no?). Finisce che il ponte l'è bello che sprecato e tutti muoiono (probabilmente perché non sono riusciti a farsi una vacanza un minimo decente).

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